I sempre più frequenti sabotaggi e attentati a militi,
nonché l’ingente numero di renitenti alla leva e di disertori(che alimentava le
fila dei partigiani) intensificarono la reazione nazifascista. La violenza si
scatenò non solo su reali o presunti partigiani, ma anche su singoli e comunitÃ
che in qualche modo li aiutavano, o proteggevano renitenti, disertori e soldati
alleati fuggiti dai campi di prigionia. Anche in Martesana si fecero così
sempre più frequenti i rastrellamenti, particolarmente intensi e dai tragici
esiti nei paesi in cui, attraverso una capillare rete di delatori, si avevano
avute informazioni sulla presenza di gruppi partigiani e di armi. Ai
rastrellamenti si affiancarono poi le rappresaglie per vendicare militi uccisi
o feriti, e attacchi a presìdi.
Oltre alle forze fasciste e tedesche erano dislocate in Martesana, e
precisamente a Melzo, reparti della temibile “Legione Autonoma Ettore Mutiâ€.
Essa era stata costituita a Milano nel marzo del 1944 dall’ex squadrista Franco
Colombo, e divenne tristemente nota per la barbarie (torture, fucilazioni
sommarie, rappresaglie) esercitata nell’attività di repressione antifascista.
La “Mutiâ€, oltre alla sede del Comando, a Milano in via Rovello, disponeva di
sei caserme. Tre erano all’interno del perimetro del capoluogo; le altre erano
la “De Angeliâ€, a Villasanta di Monza, la “Bigattiâ€, a Cornaredo, e la “Mascheroniâ€,
a Melzo. Alla “Mascheroni†avevano sede due compagnie: la “Giuseppe Ruggeriâ€,
che era impiegata in zona, e la “Giuseppe Lucchesiâ€, impiegata in luoghi vari.
I rastrellamenti e i primi caduti
Il 30 maggio 1944 ad Agrate Brianza
avveniva un rastrellamento a opera della “Muti†di Milano: il ventisettenne
agratese Mario Perego,
che non si era presentato al richiamo delle armi, veniva colpito a morte mentre
tentava la fuga sulla strada che porta a Caponago.
Il 16 giugno, alle ore 5, Carugate veniva corcondata da truppe
italo-tedesche le quali ordinavano la consegna immediata di tutte le armi che
si trovavano entro la località ; l’adunata di tutti gli uomini aventi obblighi
militari; la consegna di tutti gli apparecchi radioriceventi e trasmittenti; l’adunata
di tutta la popolazione del luogo sul piazzale della chiesa. Questa era l’accusa
rivolta alla popolazione: «Nel paese si ascoltava Radio Londra e avvenivano
manifestazioni antitedesche attraverso scritte sui muri ed affissioni di
manifesti». Per fortuna non furono trovate armi. Comunque ben 96 giovani con
obbligo militare furono arrestati e portati a Monza, da dove vennero trasferiti
dapprima in una caserma alla Bicocca e di seguito a Verona, città dalla quale
vennero deportati in Germania. Per loro fortuna ritornarono tutti al paese dopo
circa quattordici mesi di prigionia. Così ricordava quei tragici eventi il
parroco di Carugate, Monsignor Giuseppe Mariani: «La nostra celebrazione vuole
ricordare anche il sacrificio e le lacrime e le infinite sofferenze sopportate
dalla nostra popolazione di Carugate per causa di quel feroce rastrellamento
del 16 giugno 1944 che strappò alle famiglie 96 giovani, colpevoli di non
essersi piegati alla coscrizione nazifascista».
Il 13 agosto Luigi Brambilla di Gorgonzola veniva trucidato sulla soglia di
casa da due militi della GNR. Brambilla stava organizzando i primi nuclei
partigiani della brigata Garibaldi di Gorgonzola. Alle ore 22,30 circa di quel
13 agosto, mentre stava rincasando, due repubblichini gli chiesero i documenti.
Essendone sprovvisto e avendo tentato la fuga venne colpito a morte.
A fine agosto l’organizzazione delle formazioni garibaldine subì un duro colpo
con l’incendio, da parte della GNR, del cascinotto di Antonio Perego, base dei
sappisti di Trezzo d’Adda. Seguirono alcuni arresti e il saccheggio della casa
del commissario politico della 103a brigata Alfredo Cortiana, con
minacce al padre e l’arresto del fratello. I membri più attivi del
distaccamento trezzese venivano inviati in montagna, in Val Taleggio, per
qualche settimana. Gli stessi dirigenti dovettero abbandonare la zona (Eugenio
Mascetti venne trasferito nella Bassa Brianza).
Il 7 settembre, a Inzago, veniva fucilato il prof. Quintino Di Vona, che era lì
sfollato in seguito ai massicci bombardamenti su Milano.
A sinistra, Quintino Di Vona
con la moglie Lina Caprio in una foto del 1925
A destra, Quintino Di Vona
Di Vona era nato il 30 novembre 1894 a Buccino (in provincia
di Salerno), politicamente era di estrazione socialista, insegnante di Lettere
dapprima al liceo Carducci e poi in una scuola media di Milano, promotore del CLN
della scuola. Così una fonte scritta ci fa rivivere il suo arresto e la sua fucilazione:
«Alle 6,30 del mattino (...) bloccati gli accessi stradali e le porte dello
stabile in cui abitava il Di Vona con la famiglia, militi della SS tedesca e
della “Muti†procedevano brutalmente all’arresto del nostro compagno che,
tradotto a Monza su una macchina, veniva dopo poco riportato a Inzago e qui
trattenuto prigioniero nella sede del fascio, senza consentirgli di prendere
cibo fino all’ora dell’esecuzione, affidata a giovinetti tra i quindici e i
sedici anni, che hanno accompagnato la scarica coi loro sghignazzi e i loro
canti oltraggiosi. Il cadavere è rimasto esposto sulla pubblica piazza fino a
sera. L’arresto è avvenuto per denunzia di spie già identificate e sotto l’accusa
di appartenere al partito comunista; la fucilazione come rappresaglia per il
ferimento di un fascista e di un soldato tedesco nel paese di Inzago».
L’11 novembre nel corso di un rastrellamento alla cascina Modesta di Brugherio,
venivano arrestati i partigiani dell’11a brigata Matteotti Ester
Ticozzi e Dino Pace.
Lo stesso giorno, alla trattoria del “Valentinoâ€, nei pressi della stazione
tranviaria di Vimercate, le formazioni garibaldine della Martesana subivano un
nuovo duro colpo con l’arresto, da parte della GNR, dei comandanti di zona
Eliseo Galliani e Guido Venegoni (uno dei quattro fratelli Venegoni, di
Legnano). Tradotti dapprima a Vimercate e poi a Monza, Venegoni veniva
riconosciuto, mentre Galliani se la cavava miracolosamente. Guido Venegoni
riuscì poi a liberarsi, diventando comandante della 181a brigata
Garibaldi.
Rastrellamenti, deportazioni, rappresaglie, per quanto colpissero duramente la popolazione e in particolare gli antifascisti non riuscirono però a spegnere del tutto lo spirito combattivo dei resistenti. Scrive lo storico Luigi Borgomaneri, riferendosi alla nostra zona: «Con una zona che pullulava di SS e fascisti, con la mancanza di quadri, le continue sostituzioni e avvicendamenti di comandi di brigata e con un Comando di zona sfasciato per la seconda volta in quattro mesi, desta meraviglia che l’attività non si sia ridotto a zero».
Dopo un periodo di relativa calma, la guerriglia in
Martesana riprendeva con il secondo attacco, purtroppo funesto per i
partigiani, al campo d’aviazione di Arcore. L’attacco venne compiuto la sera
del 29 dicembre 1944 e vi parteciparono, suddivisi in due squadre, garibaldini
di Vimercate e Rossino, assieme a giovani dell’oratorio e del Fronte della
Gioventù. Mentre la seconda squadra, più numerosa,
attendeva ai bordi del campo d’aviazione il segnale di entrata in azione, la
prima squadra procedeva al disarmo della ronda e all’assedio della palazzina
del Comando. Tutto stava procedendo secondo i piani, quando le grida di un’ultima
sentinella allertarono gli avieri presenti nella palazzina. Vennero così meno l’effetto
sorpresa ed ebbe ragione la forza numerica dei repubblichini. Nello scontro a
fuoco veniva colpito a morte il comandante partigiano Iginio Rota, mentre la
seconda squadra partigiana non poté fare altro che ripiegare. Le informazioni
fornite da due spie portarono presto all’individuazione dei responsabili dell’attacco.
Nella notte del primo gennaio la polizia fascista arrestava Pierino Colombo,
Renato Pellegatta, Aldo Motta, Luigi Ronchi, Emilio Cereda. Seguirono poi gli
arresti dei giovanissimi Enrico Assi, Carlo Verderio, Angelo Nava e Felice
Carzaniga; della sorella e della fidanzata di Iginio Rota; di Felice Sirtori (della
13a brigata del Popolo) e dei sacerdoti don Enrico Assi e don
Attilio Bassi.
Il 29 gennaio 1945 il tribunale fascista di Milano condannava a morte,
mediante fucilazione, i partigiani Pierino Colombo, Emilio Cereda, Luigi
Ronchi, Aldo Motta, Renato Pellegatta; a morte in contumacia il partigiano
Carlo Levati; a trenta anni di carcere (data la loro minore età ) i partigiani
Enrico Assi, Angelo Nava, Felice Carzaniga, Carlo Verderio. I cinque partigiani
vimercatesi vennero fucilati alla schiena, da un plotone di fascisti, alle ore
7,10 di venerdì 2 febbraio, nel campo d’aviazione di Arcore.
Partigiani vimercatesi caduti per mano fascista
Emilio Cereda, Iginio Rota, Renato Pellegatta
Luigi Ronchi, Aldo Motta, Pierino Colombo
Carlo Galbussera, Giuseppe Ruggeri
Dopo due mesi dall’attacco al campo d’aviazione di Arcore,
il sesto e il settimo distaccamento (Vaprio e Grezzago) della 103abrigata Garibaldi attaccavano, con l’intento di procurarsi armi e munizioni, il
Comando tedesco di Caponago. Anche questa volta
purtroppo fallì l’effetto sorpresa e l’azione si concluse col magro bottino di
tre fucili e tre pistole. L’attacco, riporta una fonte, «viene deciso per la
sera del 28 febbraio. Verso le venti, insieme ai partigiani del 7°
distaccamento, ci raduniamo in località Cavallasco (...). Sul posto si trovano
due automezzi ed il comandante di brigata “Francescoâ€, con il vice comandante
di divisione “Ciro†(...). Accompagnati da un civile entriamo nella villa
passando per un cortile posteriore non controllato (...). Mentre ci stiamo
avvicinando al centralino telefonico del Comando, da una scala che dal locale
porta ai piani superiori scendono improvvisamente due degli ufficiali con un
cane pastore. “Actung! Actung!†è il loro grido; il cane viene lanciato contro
di noi, gli ufficiali estraggono le loro pistole, ma subito un fuoco infernale
si abbatte su di loro e sui militari che accorrono. Sfumato il fattore sorpresa,
occorre ora far presto, ogni minuto in più nella villa è pericoloso». Tutti i
partigiani, tranne uno ferito a una gamba e prontamente ricoverato in ospedale
grazie a un medico compiacente, riuscirono a far ritorno alla base. Anche il
rastrellamento operato dai tedeschi il giorno seguente all’attacco non diede
per fortuna alcun esito e non comportò rappresaglie nei confronti della
popolazione di Caponago.
La rappresaglia di Pessano
L’marzo 1945, tre partigiani della
184a brigata Garibaldi Falck di Sesto San Giovanni, passando in
bicicletta, avvistavano a Pessano, ai margini dell’abitato, un ufficiale
tedesco dell’organizzazione Speer, che si era installata presso le scuole del
paese (Prima Todt, poi Speer: organizzazione preposta all’esecuzione dei lavori
nelle opere militari e civili del Reich in Germania e nei paesi occupati). I
garibaldini si avvicinarono all’ufficiale decisi a disarmarlo, ma lui «intuita
la manovra fece atto di voler reagire. Prontamente i garibaldini fecero uso
delle armi e lo stendono al suolo».
La notizia si diffuse rapidamente in tutto il paese, terrorizzando la
popolazione al pensiero della inevitabile rappresaglia. Il giorno successivo,
alle ore 18,10, un camion scortato da soldati tedeschi e repubblichini
conduceva al Comando tedesco, presso le scuole elementari, otto ostaggi
prelevati dal carcere di Monza
Manifesto che annuncia la
fucilazione di sette partigiani di Pessano
Alle ore 19 venivano fucilati, sul luogo dove era stato
colpito a morte l’ufficiale tedesco: il gappista Alberto Gabellini “Walterâ€,
nato a Cambiago nel 1916; Angelo Barzago, nato a Bussero nel 1925, appartenente
alla 201a brigata Giustizia e Libertà ; Mario Vago, garibaldino di
Busto Arsizio, classe 1923; Romeo Cerizza, garibaldino di Milano, classe 1923;
i caratesi, della 119a Garibaldi, Dante Cesana, classe 1919, Angelo
Viganò, classe 1919, Claudio Cesana, classe1924.
La rappresaglia di Cassano d’Adda
I partigiani della 105a brigata Garibaldi di
Cassano d’Adda, Inzago e Gorgonzola avevano deciso di compiere un’azione di
recupero armi facendo irruzione al caffè Quadri, in località “Fornasèn†di
Cassano, locale abitualmente frequentato da militari tedeschi. Alle ore 22
della sera del 28 marzo 1945 «arrivano in bicicletta i componenti della brigata
del distaccamento di Gorgonzola. Sono capeggiati dal partigiano Luigi Restelli,
che, fulmineo, spalanca la porta, seguito da altri quattro. Mentre i primi due
controllano i tedeschi, gli altri si impadroniscono delle armi. Di corsa si
avviano all’uscita. La missione sembra riuscita. In quel momento si sente uno
sparo. Il Restelli cade fulminato sul posto, altri vengono feriti leggermente.
Segue una sparatoria confusa; il comandante partigiano interviene e lancia una
bomba. Il locale piomba nel buio e nel caos avviene lo sgancio. Entrano in
azione allora i compagni di Cassano che aiutano i feriti ad allontanarsi». Oltre a Luigi Restelli veniva colpito a morte un ufficiale
tedesco.
Rastrellamenti, arresti compiuti a Cassano e a Gorgonzola, interrogatori
non portarono all’individuazione dei responsabili dell’attacco. Così, per
rappresaglia, vennero prelevati dal carcere di Monza quattro detenuti. Il 31
marzo, Sabato Santo, alle prime luci dell’alba, venivano fucilati a Cassano d’Adda:
Luigi Lodola, di Castelnuovo Bocca d’Adda; Giuseppe Fontana, di San Vito di
Gaggiano; Giuseppe Ruggeri (partigiano di Rossino presso Vimercate) e Giovanni
Ballarati.
Il plotone d’esecuzione consumò la vendetta anche sul
cadavere di Luigi Restelli, pure sottoposto a fucilazione.