Roberto Camerani è nato nel 1925 a Triuggio, in provincia di Milano. Giovane antifascista, nel dicembre 1943 viene arrestato dai tedeschi e deportato, prima al campo di Mauthausen, poi nel sottocampo di Ebensee. Vive l’estrema sofferenza del lavoro nelle gallerie e, quando il 6 maggio 1945, insieme ai compagni, viene liberato dall’esercito americano, è in fin di vita. Ricoverato e curato dalla Croce Rossa, dopo un periodo di convalescenza, torna in Italia, dove si sposa e inizia a lavorare. È stato un testimone instancabile fino agli ultimi giorni. Ha scritto un libro dal titolo Il Viaggio, in cui racconta la sua esperienza di deportato. Ha vissuto a Cernusco sul Naviglio, dove è morto il 20 luglio 2005.
Roberto Camerani nasce a Triuggio il 9 aprile 1925. Vive a Villa Raverio, a Monza, a Milano. Riceve un’educazione fascista ed è entusiasta della guerra. Ma la Storia lo tocca da vicino, un fratello combatte sul fronte iugoslavo, e così inizia a riflettere.
Milano è martoriata dai bombardamenti, i Camerani sfollano a Cernusco sul Naviglio. Dopo l’8 settembre 1943, Roberto passa alla Resistenza. È un ingenuo ragazzo che si espone con un’opera di propaganda semplice e scoperta. Il 18 dicembre 1943, con cinque compagni, viene arrestato e rinchiuso a San Vittore a Milano. È accusato di delitti politici e, il 4 marzo 1944, viene deportato in Austria.
Roberto arriva a Mauthausen, dove subisce un sinistro rito d’accoglienza: visita medica, controllo dei genitali, rasatura. Gli tolgono abiti e dignità. Non ha più nome, è un numero: 57555. Dopo la quarantena viene trasferito ad Ebensee e destinato agli scavi in galleria. A Ebensee impara a sopravvivere, ad evitare punizioni fatali; a non pensare. Scava pietre, e le pietre scavano lui: perde trenta chili. Il 6 maggio 1945, all’arrivo degli americani, non è in grado di muoversi. Un giorno in più e sarebbe stato troppo tardi.
Roberto attribuisce la propria salvezza a dodici zollette di zucchero avute dagli americani, paglia secca che ravviva un fuoco morente. Dopo la convalescenza a Bad Ischl, si rimette e ritorna in Italia. Ritrova la famiglia, sua madre, che come lui ha perso trenta chili.
A sinistra e al centro: Roberto Camerani (1945)
A destra: Roberto Camerani (1950)
Inizia a lavorare e nel 1955 si sposa. Per anni non parla della propria deportazione. Ma, nel 1981, la moglie Mariuccia lo convince a tornare a Mauthausen. Incontra gruppi di studenti che ascoltano una guida, e capisce cosa deve fare.
Comincia un capitolo nuovo nella sua esistenza, costellato di incontri, di viaggi continui verso l’Austria, di racconti ripetuti sempre con la vibrante capacità di trasmettere un messaggio: l’invito ad assumersi le responsabilità del vivere.
Roberto Camerani muore il 20 luglio 2005. Fino all’ultimo, nonostante la malattia, parla a giovani e adulti, con una un’umanità che gli procura stima e affetto. Rimane oggi la forza positiva della sua testimonianza: «Sono un gabbiano, le mie ali sono ormai grigie, ma non stanche di volare: la voglia di vivere mi spinge sempre avanti e lontano in una ricerca instancabile di cose. Ho avuto fortune e sfortune e proprio per questo sono convinto che la vita sia una cosa meravigliosa».
Associazione Roberto Camerani
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L'ultima lettera di Roberto [.pdf]
Khao I Dang (19 febbraio 1981) [.pdf]
Il ritorno a Mauthausen (26 giugno 1982) [.pdf]